Pasqua 2022: parla la restauratrice che salvò la Sindone dai danni del fuoco
Un fuoco che non brucia, che apparentemente non esiste nemmeno, che però consuma le sottili trame di lino senza lasciare scampo. E la Sindone, uscita apparentemente indenne dall’incendio che rischiava di renderla un mucchio di ceneri nella notte dell’11 aprile del 1997, se ne andava lentamente, chiusa nella sua teca d’argento.
Il racconto di un miracolo
E’ il racconto, pacato ma questo non toglie nulla alla drammaticità della situazione, di Irene Tomedi, una delle grandi restauratrici di cui può andare fiera l’Italia, che nel giugno del 2002 fu chiamata insieme alla sua collega svizzera Mechthild Flury Lemberg a salvare quello che rischiava di essere ormai compromesso.
Tutto in una notte
Un passo indietro, necessario: nella notte tra l’11 e il 12 aprile 1997 divampano le fiamme nella Cappella del Guarini – dove, in una teca d’argento, si conserva da secoli la Sacra Sindone. Non è il primo incendio che coinvolge il Sacro Lino, uno si era già verificato nella prima metà del Cinquecento, e le bruciature provocate dall’argento fuso sulla trama sono ancora lì indelebili.
A salvarla i vigili del fuoco
Dell’incendio di un quarto di secolo fa tutti ricordano le fascinose immagini dei vigili del fuoco che a colpi di maglio sfondano il vetro antiproiettile che protegge la teca della Sindone: buono per le armi, non per il calore che si sta sviluppando nella Cappella. Poi la salvezza, ed anche il più incallito dei negatori dell’autenticità della reliquia non può che provarne sollievo.
Un processo chimico
Tutto sembra risolto. Poi però ci si rende conto che qualcosa non va. “Il restauro era necessario perché il tessuto ha continuato a bruciare– spiega Tomedi al Sir – Si tratta di un processo chimico. L’ossigeno presente nell’aria ha continuato ad alimentare la combustione del tessuto. In alcuni punti abbiamo trovato che la bruciatura aveva oltrepassato anche le toppe che le clarisse avevano applicato nel 1534”.
Un mese di restauro
Il restauro della Sindone durò poco più di un mese, dalla sera di giovedì 20 giugno alla sera di martedì 23 luglio 2002. “Sono stati giorni di intenso lavoro – ricorda Tomedi – Il telo d’Olanda, ogni singola toppa, così come la fibra bruciata è riposta in contenitori sistematicamente etichettati”.
Rimosse le parti bruciate
Una volta rimosse tutte le toppe e le parti bruciate, la Sindone venne fotografata ed esaminata grazie ad un videomicroscopio messo a disposizione da Tomedi. Nella terza fase del restauro la Sindone venne fissata su una nuova fodera. Il telo, un lino grezzo, venne donato da Flury Lemberg. L’aveva acquistato suo padre una cinquantina d’anni prima in Olanda (ancora una volta un ‘telo d’Olanda’, come quello usato dalle clarisse di Chambery nel restauro di mezzo millennio fa). Lavato più volte per disapprettarlo e per restituirgli morbidezza, il telo è stato lasciato del suo colore naturale, un avorio intenso.
Cuciture in seta
“Tutte le cuciture – spiega Tomedi – sono state fatte con filo di seta a due capi. Una fibra naturale la seta, resistente, che non va a lesionare la fibra del lino della Sindone. Un lino che ha una lavorazione particolare, a spina di pesce, che ho ritrovato, qualche anno più tardi, durante il restauro di alcuni gambali tipo ghette, risalenti al 700 a.C.”.