Now Reading
Arrigo Cipriani ha 90 anni: «Onassis spaccava i piatti. Liz Taylor? Beveva troppo.»

Arrigo Cipriani ha 90 anni: «Onassis spaccava i piatti. Liz Taylor? Beveva troppo.»

Imprenditore, scrittore, anima dell’Harry’s Bar di Venezia, Arrigo Cipriani compie 90 anni e si racconta. Una vita passata ad osservare il mondo da dietro un bicchiere. Un cocktail, un piatto da chef, con la capacità di vedere, e andare, ben oltre gli stereotipi e il pensiero dominante del ‘main stream’. Prototipo di imprenditore veneto, Harry non ha solo dato il suo nome al bar più famoso del mondo, ma è uno spirito libero, dalla penna e battuta arguta e sagace, un lavoratore formidabile che ha saputo costruire un impero nel segno dell’eleganza, del buon gusto, della tradizione innovata con raro equilibrio, non solo in cucina, con profondo rispetto della storia.

Cosa ricorda con maggior piacere di tutti questi anni all’Harry’s bar?

Le nobildonne erano stupende. Belle, ricche e parsimoniose. La più bella? Una volta avrei detto Diana Cooper: portava cappelli enormi, non aveva mai preso un raggio di sole in vita sua. Ora direi la duchessa di Manchester. Aveva sposato un petroliere, poi un banchiere, infine il duca di Manchester: e ognuno le aveva lasciato qualcosa.

Tra le italiane?

La contessa Morosini non perse mai una partita di poker. Diceva: vedo!, e poi, ogni volta: vinco io! L’avversario, intimidito, non osava chiedere alla contessa di mostrare le carte, e accettava di perdere. Era celebre per l’arte di riciclare i regali. A un matrimonio regalò un candelabro. Lo sposo replicò: quando glieli donai io, contessa, erano due. Un’altra volta Hemingway per renderle omaggio le comprò una scatola di caviale da mio padre. Il giorno dopo lei si presentò qui, e gliela rivendette.

Com’era Hemingway?

Hemingway era amico di mio padre, ma io ero un bambino, all’Harry’s Bar non mi facevano entrare, e non l’ho mai conosciuto.

Come mai non la facevano entrare?

Perché era un posto per grandi, dove si lavorava. Il mio primo ricordo coincide con la prima volta in cui fui ammesso nel locale: presi una spremuta d’arancia. Il secondo ricordo è quando papà mi diede in mano una pirofila per servire il risotto. Mio padre mi diceva sempre: non fare domande, guarda e impara. Così guardai gli altri, e imparai a servire il risotto.

E qual è il suo primo ricordo pubblico?

La liberazione. L’Harry’s Bar era stato requisito dai nazifascisti. Venezia era sprofondata da anni nel silenzio. L’arrivo dei liberatori fu la più bella emozione della mia vita.

È ottimista sul futuro di Venezia?

Sì, a patto che riportiamo in città gli abitanti, e il lavoro. A cominciare dall’artigianato, che qui ha una storia millenaria. A Lepanto abbiamo vinto perché l’Arsenale costruiva una nave in un giorno.

E l’acqua alta?

C’è sempre stata; e ogni volta, anche nel 1966, noi abbiamo riaperto il locale il giorno dopo. L’acqua sale da sopra, pulisce, e refluisce. Il Mose non l’hanno fatto per salvare Venezia, ma per rubare.

Il segreto per vivere a lungo?

Il karate. L’ho imparato da due maestri: Hiroshi Sharai e Taiji Kase. Kase allenava i campioni italiani. Mi diceva: li batterei tutti; e aveva già sessant’anni. Ho provato anche lo yoga, ma mi annoiavo: non riesco a stare fermo.

Orson Welles l’ha conosciuto?

Lui sì. Grande carisma: da solo riempiva questa stanza. E grande appetito: appena lo vedevamo entrare, gli portavamo una bottiglia di Dom Perignon ghiacciato e dodici sandwich ai gamberetti. Una volta partì senza pagare. Lo inseguii in stazione. Mi disse: sali in treno con me, ti porto a Parigi!.

Liz Taylor?

Carina. Ma beveva troppo.

Onassis?

Esibizionista. Pretendeva di spaccare i piatti, alla russa. Niarchos invece era un signore.

Agnelli?

Ogni volta mi chiedeva come stava mia zia Gabriella, che dirigeva la locanda sull’isola di Torcello. E io: grazie Avvocato, sta benissimo!. Ma era morta da anni. Ma perché dovevo dare una cattiva notizia ad Agnelli? Già aveva imparato il nome di mia zia….

Leggendaria anche la contessa Venini.

Nel 1976 tremò il Friuli, si sentì anche qui. Tutti fuggirono, cadevano i quadri, e lei: mio buon Cipriani, cos’è questa confusione? Il terremoto, contessa. “Ah, che cosa spiacevole!”.

Carla Cipriani, sua sorella, sposò Tinto Brass.

Un uomo di talento. Ma Carla lo aiutava molto sul set.

Lei dove paga le tasse?

Rigorosamente in Italia.

In America però la misero in gabbia.

Per cinque ore, con mio figlio. Quando arrivò il giudice, con cui patteggiai dieci milioni, si scusò per l’attesa. E mio figlio: “Io invece la ringrazio, perché non ho mai passato tanto tempo con papà in vita mia”. Si chiama Giuseppe come mio padre, e ha lo stesso talento. Mio padre ha fatto l’Harry’s Bar, mio figlio ha fatto l’espansione internazionale.

E lei?

Ho passato la mia vita in questa stanza, tra i tavolini bassi, le posate piccole, le tovaglie di lino, il pavimento riscaldato a 19 gradi, le finestre studiate per cambiare l’aria diciassette volte in un’ora… Quelli del comitato tecnico scientifico non hanno la minima idea di come funziona un ristorante.

Continua a non amare i grandi chef?

Le stelle sono finite. Si torna agli ingredienti, alle materie prime, alle ricette classiche. La vera innovazione è riscoprire la tradizione. Il miglior ristorante di Milano per me non è uno stellato, è Bice.

View Comments (0)

Leave a Reply

Your email address will not be published.

Scroll To Top