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Pamela Anderson racconta: “Sono le mie t**** ad aver fatto carriera”

Pamela Anderson racconta: “Sono le mie t**** ad aver fatto carriera”

Pamela Anderson racconta

Pamela Anderson racconta: “Sono le mie t**** ad aver fatto carriera”. C’è una Pam dentro ognuno di noi. Che diventa evidente, davanti a «Pamela, a love story», l’ultima biopic di Netflix. È l’ennesima volta in cui la donna diventata famosa grazie al seno rifatto ( lo dice lei!), si racconta. Ma dentro queste due ore spiazzanti, c’è quel che non ti aspetti.

Pamela Anderson racconta: “Sono le mie t**** ad aver fatto carriera”.

In teoria Pamela è un personaggio ovvio: la dea del sesso, la bomba bionda, la superstar della corsa al rallentatore, il sogno californiano. Le descrizioni scorrono sulle copertine patinate e nelle presentazioni dei talk show, montate in serie nei primi minuti del racconto.  Qualsiasi eccesso è sorpassato e nessuno viene rinnegato: «Le mie tette hanno fatto carriera, io le ho solo accompagnate», una battuta meravigliosa. E la chiave che libera la filosofia di Pamela.

Da Playboy a Tommy Lee

Ha posato nuda per Playboy e ha lasciato che il suo corpo parlasse per lei, ha puntato tutto su un bene che difficilmente perde valore, le tette appunto […]: ciò che sappiamo di Pamela Anderson è in realtà ciò che non ci riguarda. Il video porno rubato dalla casa che condivideva con l’ex marito rocker Tommy Lee l’ha segnata eppure non dice molto di lei, parla più di noi.

Una vita da film

La Anderson si sposa plurime volte, si accoppia di continuo con uomini che a turno diventano o violenti o insofferenti e sa persino il perché: «Se ti aspetti una donna e te ne trovi vicina un’altra si fa difficile». Nonostante ciò si lascia essere: nozze con Tommy Lee dopo quattro giorni di conoscenza, sulla spiaggia di Cancún. Mezza ubriaca, mezza strafatta, confessa di ecstasy e bagordi come se fosse il resoconto di un sogno bislacco di cui si stufa senza riuscire a svegliarsi.

Tanta autoironia

La bomba bionda sorride davanti alle disavventure ineluttabili: è un fumetto, sexy quanto volete, ma di un’autoironia che andrebbe insegnata a qualsiasi adolescente per la sopravvivenza quotidiana in un mondo social. Ripete quello che la maggioranza della gente pensa e nulla ha più peso. Gli strati di etichette proteggono dall’imbarazzo, dal fastidio, foderano, rimbalzano gli sguardi indigesti. Il documentario è un invito a non toglierle.  Bisogna solo avere stima di se stessi e non leggerle. Basta coltivare almeno un filo di pamelitudine. Anche in assenza di tette

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