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Addio Mister Sakamoto

Addio Mister Sakamoto

Addio Mister Sakamoto

Il grande compositore giapponese, premio Oscar per la colonna sonora del film «L’ultimo imperatore», si è spento a 71 anni e ha «vissuto con la musica fino all’ultimo». E’ quello che il comunicato dell’entourage di Ryuichi Sakamoto ha divulgato ieri (ma il decesso è avvenuto martedì scorso). In cura per un nuovo tumore «ha continuato a lavorare nel suo studio casalingo ogni qualvolta la salute glielo abbia permesso».

Addio Mister Sakamoto

«Sinceramente non so quanti anni ho ancora davanti. Ma so che voglio continuare a fare musica. Musica che non mi vergognerò di lasciare dietro di me, significativa». Il musicista già nel 2017, raccontandosi nel documentario «Ryuichi Sakamoto: Coda», immaginava che il cancro alla gola debellato tre anni prima avrebbe potuto ripresentarsi. Il suo interesse per la musica era però rimasto intatto, facendosi se possibile ancora più ostinato.

Anticipatore del synth pop

Nato nel 1952 a Nakano, Tokyo, aveva studiato pianoforte, laureandosi in composizione. Alle superiori doveva prendere un treno affollatissimo per andare a lezione: «Impossibilitato a muoversi, tutto ciò che il teenager Sakamoto poteva fare era ascoltare», facendo attenzione ai suoni diversi prodotti dal treno. Un allenamento all’ascolto che l’aveva reso un individuo curioso e instancabile, convinto che «qualsiasi cosa possa essere musica». Affascinato tanto dai Beatles quanto da Debussy, da John Cage e John Coltrane, alla fine degli anni ’70 era entrato negli Yellow Magic Orchestra, gli antesignani del synth pop, nei quali profuse la sula passione per l’elettronica e la sperimentazione. Ma è con alcune colonne sonore memorabili (e con un parallelo, lungo elenco di album solisti) che il suo nome è diventato uno dei più apprezzati degli ultimi decenni.

La consacrazione sul grande schermo

La svolta decisiva è stata rappresentata dal film «Furyo» che contiene la celebre «Forbidden colours». Soprattutto nella versione cantata da David Sylvian, per la quale bastano cinque note per riconoscerla, fissando  uno dei tratti distintivi del genio di Sakamoto: la fusione dei suoni orientali con gli strumenti occidentali, toccando l’anima dell’ascoltatore. Nel film del 1983, diretto da Nagisa Oshima, Sakamoto debutta anche come attore, interpretando un capitano dell’esercito alla direzione di un campo di prigionia, attratto da un ufficiale neozelandese, interpretato da David Bowie. Di quella esperienza ricordava: «Il regista mi chiese come prima cosa di recitare. E in effetti prima vennero fatte le riprese, poi feci la colonna sonora. Sono quasi caduto dalla sedia guardando la mia recitazione pessima, ma tutta l’emozione è finita nella musica».

Lavorò molto con Bernardo Bertolucci

Con «L’ultimo imperatore» nel 1987 arriva l’Oscar. Sakamoto in quella occasione condivise le musiche con David Byrne e Cong Su, in un esperimento – voluto dal regista Bertolucci – di far incontrare Oriente e Occidente con i compositori oltre che nella lavorazione. «La cosa divertente è che molta gente ha pensato che io avessi scritto le parti cinesi della musica e David Byrne quelle occidentali. Invece è stato il contrario», racconterà in seguito Sakamoto.  Tornera a lavorare con il regista italiano anche ne «Il piccolo Buddha» e «Il tè nel deserto». Tra le colonne sonore di oltre 30 film, si confrontò anche con la musica per l’apertura dei Giochi Olimpici di Barcellona 1992 e pure per un episodio della serie «Black Mirror».

Riservato nel carattere ma attivo nelle battaglie ambientali

Riservato e timido, era anche un convinto attivista ambientale, contro l’uso del nucleare soprattutto in seguito al disastro di Fukushima. Il suo funerale verrà svolto in maniera privata. Una delle sue citazioni preferite, «Ars longa, vita brevis» (l’arte è lunga, la vita è breve) lo consegna all’eternità.

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