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L’estate (non) sta finendo: la nostra intervista a Johnson Righeira

L’estate (non) sta finendo: la nostra intervista a Johnson Righeira

L’estate (non) sta finendo: la nostra intervista a Johnson Righeira. Uno dei tormentoni per eccellenza del duo torinese dei Righeira è certamente L’estate sta finendo, uscita nel 1985. Che fa il paio con un loro grandissimo successo, Vamos a la playa, di due anni prima. Infatti tutto ebbe inizio nell’estate 1983 con quest’ultima canzone, che era nelle orecchie di tutti. Senza dimenticare No tengo dinero, dello stesso anno. Si tratta di singoli che hanno scalato le classifiche anche in Belgio, Germania, Austria, Spagna. Trasformando i Righeira in una delle icone degli anni ’80.

L’estate (non) sta finendo: la nostra intervista a Johnson Righeira

Oggi la band non esist più ma Stefano Righi – alias Johnson Righeira – è più attivo che mail. Ci abbiamo fatto quattro chiacchiere, che con lui diventano sei, otto, dieci…

Come hai vissuto la pandemia degli ultimi due anni?

Non riuscivo a razionalizzare quelloc he stava succedento, mi sembrava di vivere un film di fantascienza, uno scenario postatomico. Purtroppo era tutto vero… e rappresenta una sorta di cartellino giallo che la Terra assegna a noi umani. Dopo c’è l’espulsione… non dovremmo dimenticarcene e invece spesso lo facciamo.

Spesso hai dichiarato che Vamos a la playa ti ha cambiato la vita: in che modo?

Eh, certo. Con un successo del genere… Mi spiace solo che il servizio militare che in quel periodo mi impegnava non mi abbia fatto percepire quel che stava accadendo. Parlo della crescita della canzone, il fatto che la suonassero davvero dappertutto, che la gente la cantasse in ogni situazione. Se avessi potuto seguire tutto passo dopo passo avrei avuto una maggiore consapevolezza e capacità di reazione, invece ero chiuso in caserma, uscivo solo per qualche presentazione…

Dove era la tua caserma?

A Bellinzago, vicino a Novara, uno di quei posti dove al CAR (centro addestramento reclute, nda) tutti speravano di non andare. Invece finii proprio lì, quando uscì Vamos a la playa ero già in piena naja. E a metà agosto dell’83 stavo impazzendo, ti giuro, ero sclerato: eravamo primi in classifica e capitava che andassi in tv e fossi accolto da applausi, urla, ragazze, richieste di autografi, poi rientravo in caserma e la mattina dopo “attenti!”, “riposo!”, con il maresciallo che mi trattava pure male!

Tu, però, era già da un po’ che frequentavi il settore musicale…

Sì, ma in un contesto molto… underground. Un mondo completamente diverso da quello delle hit parade.

Andy Warhol è uno dei tuoi idoli: perchè?

Io mi sento figlio illegittimo di Warhol. Sono pop, porto avanti operazioni pop, mi piace la musica pop, mi piace la Pop Art.

È vero che una volta parlasti con lui al telefono?

Allora, ti spiego, perchè fu una cosa abbastanza surreale. Una sera in cui avevo bevuto un po’ troppo, un amico che aveva vissuto per un periodo a New York e aveva conosciuto Warhol a una festa mi diede quello che disse essere il suo recapito telefonico. Numero che chiamai col batticuore e, per farla breve, mi rispose uno che si presentò effettivamente come Andy Warhol. Purtroppo non mi ricordo altro, non ho la minima idea di quello che gli dissi…

Dopo una pausa e tanto successo, nel 1988 i Righeira tornarono sul mercato con il singolo Compañero. A chi era dedicata?

Neanche tanto velatamente dedicato a Che Guevara!

L’anno successivo cadde il muro di Berlino: che ricordi hai in merito?

Su tutto ricordo la giusta vittoria dell’ovest. Gl altri hanno esagerato, hanno tradito qualsiasi ideale di socialismo e comunismo, però non è che abbiano vinto i buoni. La verità sta sempre nel mezzo e il vero problema è che l’uomo quando ha il potere lo usa, spesso senza la testa.

In che modo vi inventavate i look tu e Michael?

All’inizio ci sentivamo molto new wave. Poi, con L’estate sta finendo, l’idea fu di prendere in giro le band new romantic inglesi, come i Duran Duran e gli Spandau Ballet.

Nel 1993 ti sei fatto anche cinque mesi di carcere, ti hanno arrestato per spaccio ma poi sei stato assolto…

Fu colpa della mia incoscienza. In quel periodo frequentavo persone “un po’ così”… e sono diventato uno specchietto per le allodole. Sono stati cinque mesi di merda, ero a Padova in custodia cautelare. Avevo una gran paura e per cercare di distrarmi facevo un po’ di sport. Alla fine è andata com’era giusto che andasse: fui assolto. Tutti si ricordano quando venni arrestato, sarebbe anche opportuno che con altrettanta memoria la gente si ricordasse della mia assoluzione.

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