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Un fenomeno sociale preoccupante: la gente si veste sempre più di m***@

Un fenomeno sociale preoccupante: la gente si veste sempre più di m***@

Do il benvenuto ufficiale ad un nuovo contributor (di rango) che si aggiunge alla squadra di Tuo Magazine. Si tratta di Niky Marcelli, giallista, autore tv, giornalista e – come leggerete nel suo blog settimanale Il boudoir del gentiluomo – ironico ed esperto dandy, conoscitore arguto dei virtuosismi e degli orrori della moda al maschile. Per un approfondimento ulteriore vi rimando alla godibilissima lettura del suo nuovo libro edito da Santelli

Luca Varani

 

La scorsa estate, lo scrittore Alain Elkan ha pubblicato un contestatissimo articolo che raccontava un suo viaggio in treno, in compagnia di giovanotti malvestiti e cafoni. Ma il problema temo sia molto più grave e generalizzato. Alain Elkann, in un articolo del luglio scorso su La Repubblica, ci ha raccontato i moderni “lanzichenecchi”. Ovvero i suoi vicini di treno, da lui osservati con l’attenzione di un entomologo, che – come la maggior parte dei ragazzi (ma non solo dei ragazzi!!!) di questi ultimi anni – adotta un look a dir poco deprecabile, frutto di una subcultura di stampo “amerdicano”, che persegue una continua rincorsa verso il basso.

La divisa che uniformizza la massa

Non la vediamo solo sui treni del sud e nemmeno solo tra gli adolescenti questa umanità sempre peggio vestita, fatta di canotte o t-shirt di ogni foggia e colore che paiono provenienti da qualche mercatino rionale, pantaloncini corti – spesso e volentieri a bracalone – che sembrano riperticati sulle bancarelle della Caritas e l’immancabile cappellino tipo-baseball, generalmente portato con la visiera all’indietro come lo scemo del villaggio interpretato dal grande Giorgio Faletti in Drive In. Girando per le città, in estate, la possiamo vedere dappertutto. Uomini e donne di tutte le età, anche anziani, tutti vestiti uguali al punto da sembrare in divisa. Indistinguibili i borghesi dai proletari. Solo gli immigrati sono facilmente riconoscibili (e nemmeno tutti!) ma quasi esclusivamente per la diversa sfumatura dell’abbronzatura. Tutti vestiti da poveracci, da scappati di casa. Tutti che sembrano essere stati colti nel cuore della notte da un terremoto o da
un’alluvione.

Dimmi cosa calzi e ti dirò chi sei

Circostanza che sembra ulteriormente testimoniata dall’incredibile varietà delle calzature, che vanno dalle più dignitose sneakers alle orrende Birkenstock, agli zoccoli di plasticaccia (sai che meraviglia lì dentro!) Crocks, fino alle ciabatte di gomma da dopo-doccia-in-palestra, indossate rigorosamente con i calzini, come faceva Paolo Kessisoglu nella sua macchietta sul calciatore tamarro slavo. Un campionario dell’orrore estetico che sembra sempre più dominante ogni anno che passa. Non parliamo poi dei tatuaggi che ai miei tempi venivano esibiti solo da due categorie di persone: i marinai e i carcerati, mentre adesso chiunque ha un lembo di pelle a disposizione corre a farselo istoriare appena possibile. Oggi sei anticonformista, eccentrico e originale se non li hai. Così, anche il tatuaggio – che presso alcuni popoli ha una importante valenza rituale – è ormai stato massificato e banalizzato, perdendo totalmente il suo significato. Chiunque si fa tatuare qualunque cosa, ignorandone assolutamente il senso, al punto che non mi stupirei affatto se la traduzione di certi ideogrammi orientali, esibiti con orgoglio da qualche tamarro della suburra, fosse: “Sono un coglione”.

Qualcuno ci manovra dall’alto?

Di fronte a questo sfacelo estetico, che sottende anche uno sfracello culturale, mi pongo delle domande. Mi domando – a rischio di sembrare un “complottista” – – se tutto questo orrore che ci circonda non sia una sorta di “esperimento sociologico”, un volerci abituare alla miseria estetica, culturale e sociale, per farci meglio digerire l’indiscutibile miseria economica in cui ci stanno precipitando le politiche dissennate dei nostri Governi e della UE. Un voler trasformare in trendy il vestirsi sulle bancarelle del mercatino parrocchiale, facendoci credere che “siamo più comodi”. Il volerci spacciare come “ultima moda” o – peggio! – “ecologici”la maglietta e il pantaloncino di tessuto sintetico (che arricchisce gli industriali più dei tessuti naturali e poi – come è noto – essendo indistruttibile, va ad inquinare il mondo) a discapito dei più sani tessuti naturali, che hanno maggiori costi di produzione e il peccato mortale di essere più duraturi nel tempo e biodegradabili.

La cultura passa anche attraverso la forma

Se il fine non sia quello di trasformarci, piano piano, in una massa derelitta e amorfa e senza più un’identità sociale e culturale (non parliamo di poi di una coscienza di classe…), per poterci meglio manovrare. Un popolo ancor più bue di quello che, in fondo, siamo sempre stati. Non pensate che stia esagerando, perché l’identità e la cultura di un popolo passano anche attraverso il suo senso estetico e critico. Quindi anche attraverso ciò che si mette addosso e che di sé mostra al mondo. Resta oltretutto un mistero come tutto questo inesorabile diventare sempre più indecenti e trascurati nell’aspetto (e di conseguenza, a parer mio, anche nell’animo) possa conciliarsi con le immagini patinate e sfarzose che ci bombardano quotidianamente attraverso pubblicità, social e serie televisive.

Niky Marcelli

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