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Leonardo Pieraccioni e il Sesso degli Angeli: «E ora sono un prete che eredita un bordello da mio zio Massimo Ceccherini»

Leonardo Pieraccioni e il Sesso degli Angeli: «E ora sono un prete che eredita un bordello da mio zio Massimo Ceccherini»

Il Sesso degli Angeli è il titolo della nuova fatica cinematografica di uno degli artisti più amati e popolari del Bel paese. Anche se viene percepito come l’eterno ragazzo, Leonardo Pieraccioni ha compiuto 57 anni il 17 febbraio e accetta di farsi intervistare da Tyoun Magazine in occasione del suo ritorno al cinema con una commedia divertente e assolutamente in linea con la sua ormai ultra ventennale carriera dietro la macchina da presa.

Vita e carriera: Pieraccioni, a che punto è?

Ho fatto la figliola tardi, a 45, la vedo crescere a una velocità impressionante. I più veloci sono dai 50 in poi, quando al cinema cominci a raccontare la verità. Mi sembra ieri l’altro che ho lavorato con Rita Rusic e Vittorio Cecchi Gori. Su di lui, avventure e disavventure, andrebbe girato un film; ogni tanto mi chiama e mi dice: dobbiamo fare…. A che punto sono? Io come epitaffio volevo: da oggi esco solo in dvd. Solo che non esistono quasi più. Oggi di me scriverei: Ho fatto tutto quello che ho potuto. Mi interrogo e mi assolvo, come un Don Simone laico.

Chi è Don Simone?

Il piccolo prete che eredita un bordello dallo zio ricco. Lo interpreto nel film Il sesso degli angeli, che esce il 21 aprile per 01. Le idee a volte sono strane come vengono. Parlavo con un produttore esecutivo di un’altra sceneggiatura carina ma che non mi convinceva e gli ho detto: questa storia non è come un prete che eredita un bordello in Svizzera. Mi sono detto: ma sai che non è male come idea. Lo zio ricco morto è Massimo Ceccherini, che non aveva mai creduto alla vocazione del nipote, e gli appare nei flashback come un incubo.

Come si è documentato per il casino?

Ho parlato col direttore di un bordello, il cinema li racconta spesso ma accendono sempre curiosità estreme. Dice che l’80 percento dei clienti si innamorano delle escort, le vorrebbero sposare, portano torte che le ragazze girano a lui. E’ successo anche a me, a 25 anni Ceccherini mi portò in un night con le luci soffuse, sembrava un girone dantesco, fu la prima volta che chiesi a un ragazza di sposarmi. C’è la ragazza povera, quella che dice voglio provare, l’altra che non sapeva di avere quel talento lì. Se ho pensato alle Olgettine? No, lì si entra in una palude brutta, le escort sono più professioniste e hanno più dignità.

Che ci fa Marcello Fonte nel film?

Lui è il sacrestano cresciuto con l’incenso che in tre secondi si innamora. Marcello resta Dogman di Garrone, temeva di non avere i colori della commedia invece li ha.

Torna ad essere circondato da ragazze giovani.

Sì ma le frequento da prete 57enne, ormai non mi pensano più, al limite la maîtresse Sabrina Ferilli ma c’è un gioco di equivoci: io penso sia un bar, loro non sanno che sono un prete. Mi ispiro ai preti in trincea, quelli degli oratori, non ai graduati a cui ci si affeziona un po’ meno.

Lei andava all’oratorio?

Eccome, il Sant’Ambrogio di Firenze era il social dell’epoca, giornate intere a giocare a ping-pong, a vedere film su un telo grinzoso. Nel film ci sono scene in chiesa e ho dato il copione ai preti. Manco una parolaccia.

Al tempo del Ciclone ci disse che comici o preti si nasce.

Vero. Io a 5 anni al Lido di Camaiore con le onde alte come me mi immaginavo in un film fingendomi naufrago. A Natale anziché le poesie raccontavo storie sui parenti. Poi le imitazioni, gli show a Teleregione con Carlo Conti….

E’ la prima volta che non esce sotto Natale.

La speranza è che per aprile si esca da questa emergenza, e che si abbia voglia di festeggiare il passato pericolo. Ora è diventato un evento andare al cinema. Se mi avessero detto arrivano gli alieni o la pandemia, avrei creduto agli alieni. Una volta mi chiedevo: quanto farò io rispetto a Rambo o Christian De Sica? Oggi non mi pongo nemmeno la domanda. Ma ogni volta che inizio a scrivere mi dico: voglio fare il film più comico dell’universo. E la voglia di fare spettacolo è immutata.

Questo che film è?

E’ sul dubbio e sulla redenzione. Si fa il cinema in cui si è in quel momento. Sono finite le età dei Pierini e le sindromi da Peter Pan. Certi meccanismi comici non li puoi più ripetere. Il ciclone incassò 78 miliardi di lire, i film hanno loro codici e leggi. Ho provato a uscirne, quando feci il western con David Bowie e Harvey Keitel (in un primo tempo volevamo Abatantuono e Mastroianni) pensai ora mi daranno il Nobel altro che Oscar. Invece andò male. Noi attori fai da te ci rapportiamo al primo Troisi che si cuciva addosso le storie.

Se le nominiamo Sordi e Benigni?

I produttori quando facevi tanti soldi ti regalavano un orologio o un’auto. Io a Cecchi Gori chiesi di incontrare Sordi. Mi chiese l’età e mi disse: alla tua età giravo dieci film all’anno. Benigni l’ho visto a un ristorante, era da solo, in penombra sul retro. Gli ho detto: Maestro, fammi un film da schiantarmi dal ridere. E lui: fosse facile.

I mancati riconoscimenti?

Presi due David per Il ciclone. Come attore mi cercarono registi importanti, rito antico, da Pasolini e Totò in avanti. Poi scatta il momento in cui cerco la battuta sul copione, e se non la trovo…E’ la maledizione dei guitti e dei cabarettisti.

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