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Carlo Cracco: «I pasti per i clochard? Devi restituire il tanto che hai ricevuto»

Carlo Cracco: «I pasti per i clochard? Devi restituire il tanto che hai ricevuto»

Siamo abituati a vedere Carlo Cracco in cucina, ripreso dalle telecamere di qualche talent. Lo chef vicentino, che dalla tv si è allontanato (“non avrei mai potuto condurre undici edizioni di Masterchef, preferisco programmi dove posso fare quello che voglio”) durante la pandemia ha chiuso e aperto locali, è stato protagonista di iniziative di solidarietà in quella che ormai da anni è la sua Milano. Ha rilevato un’azienda agricola in Romagna dove con la moglie Rosa Fanti produce frutta, verdura, olio e vino. E ha firmato tre distillati (gin, limoncello e amaro), che ha presentato a Venezia e Santa Lucia di Piave (Treviso), dove ha sede Cuzziol Beverages, l’azienda che li distribuirà in esclusiva per il Nordest nei ristoranti, cocktail bar e bar degli hotel. Antonino Padovese ha intervistato il grande chef vicentino per il Corriere del Veneto.

Carlo Cracco, da dove nasce questo progetto dei distillati?

Nasce da lontano. La passione per i distillati risale alla scuola alberghiera che ho frequentato a Recoaro Terme. Quando mi sono iscritto, volevo fare il barman. Poi mi hanno detto che per diventare barman avrei dovuto fare il cameriere, che a me non interessava. Così ho optato per la pasticceria. Mi hanno detto che, se volevo diventare pasticciere, avrei dovuto studiare cucina. Alla fine, mi sono iscritto ai corsi di pasticceria ma è rimasta sia la passione che la curiosità.

Passione per i distillati?

Sono sempre stato una persona curiosa e aperta. Volevo fare esperienze a 360 gradi senza limitarmi all’indirizzo che alla fine avevo scelto all’alberghiero. Ecco perché a Milano, quando già lavoravo in cucina, mi iscrissi al corso di sommelier.

E come andò?

Ero l’unico cuoco iscritto al corso, arrivavo sempre un po’ in ritardo perché dovevo terminare il servizio e andavo via prima. Però bevevo parecchio.

Carlo Cracco con l’ad di Cuzziol Beverage Bepi Cuzziol

Carlo Cracco con l’ad di Cuzziol Beverage Bepi Cuzziol

Quando ha preso in mano il progetto per i tre distillati che ha presentato a Venezia e Santa Lucia di Piave?

E’ un’idea che nasce nel 2015 e che ho portato avanti negli anni successivi in mezzo a tanti progetti. Ho trovato in Piemonte, nell’Antica distilleria Quaglia, l’interlocutore che venisse incontro alle mie esigenze, io avevo immaginato il gusto del distillato esattamente come ti immagini il gusto del piatto. Solo che nel piatto il gusto lo senti in un boccone, nel distillato in un sorso. E poi avevamo un locale a Milano, Carlo e Camilla in Segheria, dove i cocktail funzionavano bene…

Ha citato un locale molto innovativo che a un certo punto chiuse. Ci può spiegare perché?

Non so come funzioni in Veneto, ma a Milano se prendi in affitto un locale e gli dai valore, poi ti adeguano subito l’affitto. Quando me l’hanno raddoppiato io ho fatto due calcoli e ho pensato che non ne valesse la pena. E ho deciso di chiudere.

Nel frattempo, il progetto dei distillati era andato avanti.

Dopo mesi di prove, mi sono arrivate a Milano le prime bottiglie. Era la prima settimana di marzo del 2020, un paio di giorni e i ristoranti avrebbero chiuso per due mesi

I suoi locali a Milano hanno recuperato dopo la botta della pandemia?

All’80 per cento. Alla fine dello scorso anno le cose andavano anche bene, poi è arrivata Omicron e c’è stato il calo giusto nel mese di dicembre.

Durante il lockdown lei ha cucinato per gli operai che stavano costruendo l’ospedale in fiera a tempo di record.

Quando ricevi qualcosa poi devi dare, io sono fatto così. Ho sempre fatto iniziative di solidarietà, partecipo alle iniziative per dare da mangiare ai clochard. E’ che spesso non le comunico.

Quando parlava di ricevere e di dare si riferiva a Milano?

Non solo, da Milano ma anche dalla cucina ho avuto tanto. Per questo mi sento di restituire e di dare qualcosa.

Lei è vicentino di Creazzo ma l’accento veneto sembra quasi sparito, ormai si sente milanese?

Beh, sull’accento ci ho dovuto lavorare molto (ride, ndr). Una volta essere identificato per l’accento era una vergogna, la dovevi cancellare, oggi invece conservare la parlata della tua terra è un plus.

Oltre ai due locali a Milano, negli ultimi anni ha aperto un ristorante a Portofino e un’azienda agricola in Romagna. Perché non ha mai rimesso piedi in Veneto?

Perché non c’è mai stata l’occasione.

Ma l’ha cercata?

Sì, l’abbiamo anche cercata ma non c’è stata l’occasione giusta e firmare una cosa solo per dire che abbiamo preso un ristorante in Veneto non credo valga la pena.

Con “Dinner club” su Amazon Prime lei è tornato in televisione. Ne sentiva la mancanza?

No, no, anzi.

Non si è pentito di aver lasciato Masterchef?

Per come era fatto Masterchef non avrei potuto condurlo per dieci edizioni di fila, invece per ‘Dinner club’ posso registrare anche cento puntate.

Ma le è capitato di vedere Masterchef dopo il suo addio?

Qualche puntata.

E si sente ancora con i conduttori storici, Bruno Barbieri e Joe Bastianich?

Sì, certo. Ci sentiamo spesso. Bruno è rimasto alla conduzione dopo undici anni.

A Vicenza ci sono rimasti un po’ male perché lei ha promosso Sestri Levante nella corsa per diventare capitale italiana della cultura. Il sindaco ha ammesso che non avevano pensato a lei e non l’hanno contattata.

Veramente devo confessare che anche io ho scoperto solo successivamente che oltre a Sestri Levante c’era anche Vicenza. Un vicino di casa, che si occupa di promozione e comunicazione, con cui avevo lavorato ai tempi di Expo, mi ha proposto di dare una mano a Sestri Levante, partendo dallo spunto che nel 2021 avevo aperto un ristorante a Portofino. E così ho fatto.

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